Peter Marino, l’architetto del lusso contemporaneo
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Peter Marino, l’architetto del lusso contemporaneo

17 gennaio 2018

È conosciuto per aver dato un grande contributo nel definire con modernità – a livello globale – il concetto di lusso di un brand, enfatizzandone tutti i contenuti, sia materiali sia culturali, creando un rapporto dialettico tra gli ambienti interni e la realtà circostante.
Peter Marino, newyorkese, look da “cattivo ragazzo”, è noto come l’architetto del lusso contemporaneo grazie alla progettazione di “luxury retails” di marchi di rilievo internazionale. Da Dior a Chanel, da Fendi a Louis Vuitton sino a Valentino, sono solo alcuni dei nomi-icona della moda a livello planetario che gli hanno affidato il compito di progettare e realizzare le loro boutique. Il risultato? La creazione di lussuosi spazi, ultramoderni, eleganti e chic, di forte impatto creativo, emotivo e culturale. Si tratta di luoghi esclusivi di rara bellezza che segnano il trionfo di un nuovo tipo di merchandising. Estremamente innovativo, efficace e ultracontemporaneo per valorizzare il prodotto ed emozionare profondamente il suo destinatario finale: il cliente.

PB
Lei ha progettato negozi di alcuni tra i più famosi marchi di lusso a livello planetario.Da dove nasce il suo interesse per l’architettura e come si diventa progettisti del lusso contemporaneo?
PM
Sin da ragazzo sono sempre stato uno studente modello nelle materie artistiche e, all’epoca, anche in matematica. L’architettura mi è sembrata, e lo penso tuttora, la più affascinante sintesi tra estetica e ingegneria. I miei primi clienti furono Andy Warhol, Gianni e Marella Agnelli e Yves Saint Laurent. Ho imparato molto da loro. Diventare progettista è stato un processo graduale che, dall’esperienza nella “factory”, mi ha portato – grazie a costanza, studio e ricerca – a progettare residenze private e retails in tutto il mondo.

PB
Tradurre un’idea, un pensiero in realtà è alla base del suo lavoro. Da dove trae ispirazione per i suoi progetti e qual è il suo approccio personale alla progettazione?
PM
Non c’è una fonte d’ispirazione in particolare. Materiali, colori, struttura, dimensioni. Tutto può evocare un’idea che può tradursi in ispirazione, progetto, realizzazione. Mi descrivo spesso come un “materialista”: toccare e sperimentare mi consentono un approccio emotivo immediato, seguito poi da schizzi a pennarello dell’idea che, poi, un gruppo di maghi del computer trasforma in progetti realizzabili.

PB
Come riesce a bilanciare il suo processo creativo con le esigenze commerciali dei suoi clienti?
PM
L’arte al servizio dell’industria è apprezzabile come l’industria al servizio dell’arte. I clienti cercano sempre di tenere bassi i costi e quando mi dicono che costituisco la parte più significativa del loro budget annuale, ci credo: l’architettura legata al brand rappresento la voce singola più cospicua. So che devo competere con il secondo elemento più importante del bilancio, che è sempre la pubblicità. Quello che io sostengo, è che l’architettura per il brand fa parte della pubblicità perché, se di quattro persone che entrano in un negozio di lusso, solo una acquista qualcosa, è importante che le tre altre che non acquistano abbiano un’esperienza davvero soddisfacente ed escano con un atteggiamento positivo verso il marchio.

PB
All’inizio della sua carriera ha lavorato con Andy Warhol, che è stato anche uno dei suoi primi clienti.Quali ricordi ha di quell’incredibile esperienza?
PM
Andy era una persona straordinaria, un genio. Non è mai stato banale o borghese nei suoi pensieri.Grazie a lui e alla sua “Factory”, avuto la possibilità di farmi conoscere alla gente che allora contava e che gravitava attorno a lui. Quando l’ho conosciuto, viveva con un tipo, un certo Jed Johnson, che mi disse: “Peter, Andy ha appena comprato una casa nella East 66th Street, e vuole ristrutturare bagni e cucina. C’è un sacco di lavoro da fare”. La casa era piuttosto desolata, così io realizzai una serie di disegni architettonici, mentre Jed si occupava della decorazione d’interni; fu una bellissima esperienza. Ero un giovane architetto, e realizzare i disegni per la casa in città di Andy era davvero eccitante.

PB
E poi è approdato alla factory…
PM
È stato lo stesso Jed a chiamarmi. Credo che il vero motivo per cui mi aveva assunto fosse la mia disponibilità a fare lavori artistici a un costo ridotto. Ad Andy questo piaceva. Tutti sanno che lo prendevo in giro – era famoso per la sua avarizia – e un giorno gli dissi “Andy, è in questo modo che eviti di utilizzare due strati di pittura: stai scherzando?” e lui rispose “No, no, mi piace che lo stucco sia così”. In effetti, aveva ragione, era bellissimo…

PB
Lei ha naturale propensione a trasformare forme e simboli in un linguaggio contemporaneo di forte impatto visivo e di alto valore estetico. Può dirmi di più sulla sua filosofia? Qual è il suo punto di vista sulla progettazione architettonica?
PM
Io faccio confluire nell’architettura il mio bagaglio culturale e interesse verso le belle arti nonché il mio rapporto con gli artisti con cui la mia carriera è stata lanciata. Si dice che ogni architetto realizzi venti opere di buona qualità. Non è completamente vero, tuttavia, esistono molti architetti bravi che hanno realizzato numerose costruzioni interessanti. Coinvolgendo gli artisti nei miei progetti, riesco a produrre opere di buona qualità che alla gente piace ammirare. Vorrei che la mia architettura esprimesse davvero il tempo in cui viviamo o fosse d’aiuto per definire il tempo in cui viviamo. Perché per me l’arte è anche questo.

PB
La tecnologia ha radicalmente modificato il nostro modo di vivere e lavorare. Qual è il suo approccio alla tecnologia?
PM
Non sono una persona tecnologica, non uso il computer, però mi piacciono gli iPad perché esaltano la comunicazione visiva. Purtroppo nessuno dei nostri progetti strutturali più high-tech è ancora stato realizzato. Abbiamo progettato quelli che sarebbero diventati i più lunghi ponti a sbalzo del Qatar e le piramidi invertite di Dubai.

PB
Una delle sue abilità principali è quella di cogliere e fotografare nella sua interezza l’identità di un brand. Come riesce a impossessarsi della sua essenza?
PM
Ogni marchio ha per me un’identità pari a quella del mio cliente, del quale ascolto attentamente aspirazioni e necessità. Mi immergo completamente nel prodotto, che si tratti di gioielli per Graff o borse per Chanel. Cerco nella fase progettuale di rendere il prodotto unico e desiderabile tenuto conto di quanto richiesto dal committente.

PB
Nella realizzazione di negozi di lusso, quanto la sua creatività è condizionata dall’architettura urbana?
PM
Molto spesso, in un centro metropolitano come quello di Parigi o Roma, lavoriamo con edifici che fanno parte del patrimonio storico tutelato, e la nostra creatività è, purtroppo, limitata al design degli interni. Nelle nuove aree urbane in crescita, in paesi come la Cina, la Corea e il Giappone, siamo liberi di intervenire anche negli esterni e questo è un’opportunità molto più interessante. La nostra facciata per Zegna a Hong Kong, ad esempio, è divenuta un notevole punto di riferimento.

PB
Il suo studio a Manhattan raccoglie un’incredibile collezione di arte contemporanea. Quali sono gli artisti del panorama contemporaneo che predilige e come integra l’arte nei suoi progetti?
PM
Al momento sto acquistando opere di artisti contemporanei quali Donald Moffett, Anthony Pearson, Jean-Michel Othoniel, Anselm Kiefer e Richard Deacon. Quando devo selezionare un artista e commissionare un’opera, mi baso molto sulle sensazioni a pelle che provo durante la visita di un museo o di una galleria, che mi fanno intuire che l’artista in questione sarebbe perfetto per un determinato brand. Mi piace scegliere artisti le cui opere contengano degli elementi in linea con il marchio. È essenziale che ci sia armonia tra l’artista e la filosofia del brand, altrimenti la collaborazione non può funzionare.

PB
Il suo inconfondibile look leather si scontra con la purezza, la leggerezza e la raffinatezza del suo design. Come coesistono il suo stile personale e quello professionale?
PM
Amo pensare fuori dagli schemi. Allo stesso modo mi piace vestirmi e vivere in maniera non convenzionale. Se si cerca un’idea di design davvero originale e si vuole trovare una nuova strada creativa, il modo migliore per riuscirci non è certo agire, pensare e comportarsi come tutti gli altri. Mi piace percorrere strade non ancora battute.

PB
E se non avesse fatto l’architetto, cosa avrebbe fatto nella sua vita?
PM
Forse sarei stato uno scultore, un giardiniere, un atleta professionista o perché no? un bond trader.

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